Voglio precisare che non sono pazzo, solo che mi piace la carne, mi piace molto, e ancora di più quando è calda e in movimento, viva, mi capisce signore? Davanti alla carne non riesco a controllarmi. Per questo quel giorno, il giorno del mio compleanno, quando andai a vedere la nuova casa di papà, la sua compagna e la sua nuova bambina, che è molto carina, successe ciò che successe. Ho trentaquattro anni compiuti, signore. Ma non sono pazzo, glielo dico un’altra volta, non sono pazzo, come lei può ben vedere. Però, questo sì, riconosco che sono un po’ strano, questo dice la gente, gli sconosciuti di sempre dicono che sono un po’ strano, ma niente di più. Se vuole, signore, può chiedere alle persone che mi conoscono per come sono e le diranno, ne sono sicuro, che non sono pazzo né malato, solo che sono “diverso”. Le diranno che non capisco molte cose e che per questo non sono mai andato a scuola. Le diranno che non esco mai di casa. La gente le dirà quanto mi vuole bene, quanto sono dolce. Se vuole, chieda come sono ai ragazzi del camion della spazzatura che tutti i giorni vanno al negozio di papà e le diranno che sono buono, che mi vogliono bene, e che li faccio tanto ridere… Per questo, signore, non capisco perché mi volete rinchiudere.
Quel giorno salutai papà, gli diedi un bacio e mi sedetti ad aspettarlo mentre lui, in cucina, preparava un enorme pezzo di carne come regalo per me. L’odore mi s’infilava per il naso, per i pori, e mi spazientii, fui invaso dalla disperazione. La bambina gattonava per la sala e giocava col cagnolino o, per meglio dire, lo inseguiva. Il cagnolino era il più piccolo che avessi mai visto, era come questa mano, così, mi capisce? La bambina mi guardava spesso e mi sorrideva. Io non le prestavo molta attenzione, le facevo solo qualche boccaccia e delle smorfie di tanto in tanto perché con tutto me stesso ero concentrato su quell’odore e aspettavo che papà tornasse con la mia carne, tanta, rossa e quasi cruda, come piace a me. Per questo, signore, non capisco cosa ho fatto di male. Tutto ha una spiegazione. Senza quell’odore, non sarebbe accaduto nulla. È che, cerchi di capirmi, la frutta e la verdura non mi piacciono perché hanno un cattivo sapore, sanno di terra e in più hanno vermi e altri insettini invisibili che nascono con loro. La frutta è dolciastra o acida o aspra e non ti riempie, invece la carne sì. Ebbene, perché papà avrebbe dovuto darmi della frutta se lui sapeva che quello che più mi piace è la carne? Insomma, l’odore di carne, di sangue, si diffuse per tutta la casa di papà e io mi disperai. Colpa di papà? No, signore, solo che le cose andarono così. Dalla cucina papà mi gridò che il pranzo sarebbe stato pronto in trenta minuti, e di non essere impaziente, che lui andava a farsi il bagno e dopo sarebbe tornato con il mio piatto. Come? Sì, signore, successe tutto in quell’intervallo. Però cerchi di capirmi, per favore.
È che, mi lasci raccontare, è da quando ero molto piccolo che mangio carne. Mi piace cruda, molto cruda, che esca il sangue quando la addento. Non mi piace il riso, né gli spaghetti né le zuppe, né nessuna delle cose che mangia la gente, però da quando vivo con la mamma mangio solo queste cose, la carne mai e, per questo, per queste voglie che reprimevo, ne approfittai quel giorno a casa di papà. Fu il mio regalo di compleanno, me lo feci io stesso. Anche se, le confesso, mai avrei creduto di essere capace di fare quello che ho fatto. Per farlo bisogna avere fegato. È che, deve saperlo signore, quando loro si separarono la mia vita finì, diventai triste, tutto peggiorò. Con mamma non vivo bene. Resto sempre chiuso in camera e non c’è neanche un po’ di giardino intorno come nella casa di prima dove tirare il riso agli uccellini per farli avvicinare e poi catturarli, può immaginare. Nella casa delle zie, all’inizio, siccome gli alberi non lasciavano vedere il bosco, lo facevo di nascosto e dopo seppellivo gli ossicini e mi pulivo la bocca, come se niente fosse. Solo le scimmie che stavano appese agli alberi mi vedevano, ma mantenevano il segreto. Quando tornavo dalla passeggiata nel bosco mi servivano il pranzo e, anche se ero pieno, mi mangiavo tutta la carne, perché è irresistibile, e lasciavo il resto. No, signore, in che modo dice? beh la carne del pranzo non ha lo stesso sapore, però è pur sempre carne in fondo, anche se quella viva è più buona. No, no, no, non sono pazzo, signore, sono “diverso”.
Mi lasci continuare, prima, le racconto quest’altra cosa, come ho iniziato, e dopo le racconto perché feci quello che feci il giorno del mio compleanno. La ringrazio. Quando mamma e papà abitavano insieme io ero felice. Passavo il tempo aiutando papà in negozio. Lo aiutavo a scaricare tutto quello che arrivava nei camion, a separare la carta dal cartone, dalla plastica, portavo via la spazzatura, qualsiasi cosa, pesavo il ferro, il metallo, ed ero felice. E fu proprio lì, nel negozio di papà, dopo tanti anni, che scoprirono quello che facevo. È che io mi nascondevo quando ne catturavo uno e me lo mangiavo vivo, con la coda e tutto il resto. Non li mandavo giù interi, no, li mangiavo piano, godendomeli, assaporandoli, e gli ossicini li sparavo fuori dalla finestra, a volte li lasciavo lì in giro, nel locale, sparsi dappertutto. Ai lavoratori e a papà la faccenda degli ossicini diede da pensare, però come potevano immaginarsi quello che succedeva. Sì, signore, andava così, tutti credevano che fosse opera di un animale. Pensavano che fosse un gatto, ma i gatti non mangiano i topi, gli danno fastidio, ci giocano solo, perfidamente, finché non li uccidono, perché i gatti non sanno nulla della delicatezza. I gatti si danno tante arie da coraggiosi ma in realtà sono paurosi e viziati come i cani, hanno paura di tutto, perfino dei topi e dei ratti, mi capisce, no?
Insomma, signore, cercherò di non divagare. Quel giorno la figlia di papà, gattonando, riuscì finalmente ad afferrare il cagnolino, il più piccolo che io abbia mai visto, e, come se io fossi suo amico, come se conoscesse i miei gusti, la mia fame in quel momento, i mesi senza carne, me l’offrì. Arrivò fino alla sedia dove stavo seduto e me lo avvicinò con le sue manine, lui si agitava, e quando lo presi lei si mise a ridere fortissimo, tanto che papà lo sentì fin dal bagno e gridò qualcosa che non capii. Con il cagnolino tra le mani, mi allontanai e andai a nascondermi sotto il lavatoio. Subito lei arrivò gattonando e si sedette vicino a me, complice. Io le feci una carezza. Pensai che non andava bene che lei vedesse e, prima, le parlai vicino alle grandi orecchie e dopo accarezzai anche lui, lo coccolai e gli feci il solletico in modo che prendesse confidenza con me, che si affezionasse. La figlioletta di papà era felice, mi voleva bene, le sembravo divertente, mi guardava molto in faccia e, curiosa, voleva toccarla ogni tre secondi e io lasciavo fare, anche se, le spiego, io odio che mi guardino la faccia, che me la tocchino, che ne parlino. Signore, è che tutti mi vogliono bene, tutti mi trovano simpatico. Per questo, signore, non capisco perché sono qui. Prima, con i topi che catturavo nel negozio di papà, prima di tutto, gli parlavo, li accarezzavo, e dopo, quando avevano preso confidenza, quando il loro cuore diminuiva la velocità, zac! Per questo i miei gesti affettuosi con il cagnolino, mi capisce? Che, le ripeto, era della grandezza di questa mano.
Continuo a raccontarle la mia vita, signore, mi lasci un po’ di libertà visto che poi me la toglieranno. Dicevamo, crebbi e mi spuntarono foruncoli e barba, e nessuno faceva più caso agli ossicini buttati qua e là, tra il cartone, la carta, la plastica, la spazzatura, il vetro, le barre metalliche, le bottiglie… La gente si abitua a ogni cosa. Però un giorno, faccia attenzione a ciò che le dico, un giorno qualunque in cui ero disperato perché era da una settimana che non ne catturavo uno e me lo mangiavo, quando finalmente ne acchiappai uno, papà mi scoprì con quello in bocca. Voleva sbattermi contro il muro, non poteva crederci, si mise persino a piangere. Vomitò sulla bilancia dove si mettono le cose che la gente porta al negozio e, davanti ai lavoratori e ai miei amici netturbini, iniziò a colpirmi. Dopo mi mandò da uno psicologo e nel giro di qualche giorno cominciò a litigare con la mamma. Poi si separarono e mi obbligarono ad andare con lei nella casa dove abitiamo ora, dove non c’è né un giardino né un cortile, dove non c’è nulla che io possa mangiare. Da quel giorno sono triste, mi capisce? È che quando mamma ha fretta di andarsene, mi lega e se ne va in lacrime, o se ne andava in lacrime, perché ormai si è abituata, e anche io. Prima mi lasciava in casa da qualche amica sua che detesto, però ormai nessuna vuole più starmi dietro. Sì, signore, ne ho trentaquattro, gliel’ho già detto, e fu quando ne avevo poco più di venti che mio padre mi scoprì, ma io lavoravo con lui da quando avevo dodici anni, credo, quindi provi a immaginare quanti me ne sono mangiati nel negozio. Inizia a capirmi un po’ di più, signore?
Adesso glielo racconto del mio compleanno, non sia impaziente, signore. È che quando papà mi scoprì, come le dicevo, divenne molto triste e non mi portò più al negozio. Io persi molto peso, diventai pallido e insignificante, smunto, perché il cibo che mi dava la mamma non mi nutriva. Prima del mio compleanno ero uguale o anche più pallido di quel giorno, capisce? Sembravo un morto. Per questo ne approfittai in casa di papà, sennò sarei morto per mancanza di carne. La mamma non mi dà mai carne e dice che è la mia punizione per essere disgustoso, e adesso me ne darà ancora meno. Al punto? Certo, arrivo al punto. Insomma, la figlia di papà mi guardava e se la rideva, contenta. Io guardavo la sua pelle bianca, soffice. Aveva un odore delizioso. Il cagnolino era mezzo addormentato e io gli schiacciai il muso così che non mi mordesse, non piangesse né abbaiasse, e per evitare che lei improvvisamente si spaventasse e scoppiasse in lacrime. Cercai di controllarmi, di non farlo, ma gli impulsi mi spingevano, mi obbligavano… vivo? Certo, come con i topi e gli uccellini. La carne non ha lo stesso sapore se non si muove, se non gronda sangue caldo… quindi, come le stavo dicendo, papà non mi portò più al negozio. Con il tempo, vide che stavo morendo di tristezza in casa, non pensò fosse per mancanza di carne, e mi chiese di tornare a lavorare con lui in negozio, ma prima mi fece giurare che non avrei più mangiato quelle schifezze. Per molti anni, prima che papà mi scoprisse di nuovo e mi cacciasse per sempre dal negozio, io conservavo gli ossicini nelle tasche e li buttavo quando ero sicuro che non mi stesse guardando. Quando mi scoprì, proprio come successe il giorno del mio compleanno, si tappò la bocca con la mano, rimase immobile e poi mi massacrò di cinghiate. Guardi la mia faccia, guardi come mi ha massacrato, e le braccia, guardi, guardi i lividi che mi sono usciti, guardi la mia schiena, guardi come mi ha massacrato. La mano? Ora le spiego.
Dopo che mi cacciò dal negozio, vedevo papà solo quando veniva a prendermi da mamma e mi portava in giro in macchina per la città; a volte mi portava al parco a vedermi giocare da solo, non gli piace giocare con me perché crede che giocare sia solo per i bambini però, questo sì, mentre leggeva il giornale mi controllava, nel caso mi venisse in mente di fare qualcosa di strano. Da quando abito con la mamma, papà dice che quando mi porta a passeggiare devo essere felice, non devo restare intontito, che sembra come se la mia anima se ne sia andata, sto marcendo, che sono molto magro… e sì, guardi, signore, sono tutt’ossa e tremo tanto, guardi, e sono molto pallido, e non ero mica così quando lavoravo al negozio e mangiavo carne. Tutto è successo per mancanza di carne, per questo ho fatto quello che ho fatto. No, signore, non sto tentando di giustificarmi, solo che la fame mi ha fatto uscire di senno, mi ha vinto la tentazione, l’odore mi ha fatto perdere il controllo. No, non sono pazzo, signore, le dirò di più, le confesso che papà vedendomi così male, senz’anima, per farmela recuperare iniziò a darmi uccellini e a volte anche dei topi, di nascosto da mamma. La mia anima è carnivora, signore, perché quando li mangiavo mi tornava il colore, le forze.
Insomma, signore, anch’io sono stanco. Finisco di raccontarle e poi mi dirà cosa ne pensa. Quel giorno lì parlai poco con papà. Quando entrai, mi cantò buon compleanno, mi abbracciò e mi diede un bacio. Ricordò alcuni episodi del passato: quando avevo tredici anni e portavo a passeggio una corda come fosse un cane e la gente, così stupida, gli parlava e mi chiedeva il suo nome, accarezzava il vuoto e si congratulava con me e poi faceva una carezza anche a me. Mi parlò dei giorni al negozio, anche se non parlò mai dei topi… Poi andò in cucina, gridò, andò a farsi un bagno, e io mi nascosi con sua figlia e il cagnolino sotto il lavandino. In quello stesso luogo, poco più tardi, mi trovò papà. E ora sono qui.
Lui dice che, per colpa mia, perché me la sono andata a cercare, adesso sì che ho bisogno di uno psicologo e anche di essere internato, ma quello di cui ho bisogno, per colpa sua, è un medico, guardi di nuovo sennò. Quel giorno, quando venne ad aprirmi la porta, mi disse ancora che ero molto pallido, molto magro, che dovevo farmi la barba, che sembravo più vecchio di lui… Io non gli dissi una sola parola. Mi raccontò che la sua fidanzata era andata in centro a comprarmi la torta, che non avrebbe fatto tardi, ma non la vidi mai. Signore, io non voglio restare rinchiuso qui, non sono pazzo né malato né niente del genere, è solo che mi piace la carne, mi fa perdere il controllo.
Continuo. Allora la bambina di papà mi guardava immobile, in silenzio, mentre io mordevo una zampa del cagnolino. Faceva delle smorfie e a volte rideva vedendo il sangue che mi colava lungo il collo. Le diedi le spalle e continuai con quello che stavo facendo, in modo che lei non vedesse nulla, per non spaventarla, però la figlia di papà fece il giro e mi si avvicinò e mi si sedette su una gamba. In quel momento papà iniziò a chiamarci e poi a gridare disperato. Allora il cagnolino riuscì a liberarsi e scappò correndo, abbaiando, zoppicando, gemendo per tutta la casa. Papà gridava e gridava sempre più forte, ci cercava, imprecava, e quando lo vide sanguinare urlò che se avessi fatto qualcosa alla bambina mi avrebbe ucciso…
In quel momento mi spaventai davvero e tappai la bocca alla piccola per fare in modo che i suoi singhiozzi non rilevassero dove mi trovavo. Mi nascosi ancora più al di sotto del lavandino, mi coprii con un cartone e iniziai. Dopo pochi secondi però papà mi trovò e lei sa già come è andata a finire. Cerchi di capirmi. Ero disperato, non potevo aspettare, ero affamato, avevo bisogno di carne, carne viva. Persi il controllo. Furono solo due morsi nella mano, niente di più, cinque o sei morsi. Nella mia, certo, signore, guardi, non potrei mai toccare la bambina, mai, nelle nostre vene scorre lo stesso sangue.
traduzione di Francesca Miola
Carne è stato originariamente pubblicato su Baquiana - Revista Literaria