Tutti i pomeriggi, all’uscita da scuola, i bambini vanno giù al campetto a giocare a calcio. I genitori li accompagnano perché il posto si trova alla periferia del paese. Mentre i figli corrono dietro al pallone, loro si riuniscono in un bar lì vicino dal quale controllano la partita. Le bambine, invece, giocano per strada e si divertono saltando la corda. L’eco delle loro canzoni infantili risuona da tutte le parti. La luce del giorno inizia ad affievolire e le facciate bianche degli edifici che fino a quest’ora hanno brillato sotto un sole implacabile, acquisiscono dolci toni azzurri e violacei. Le vicine spalancano porte e finestre in modo che la brezza della sera rinfreschi l’interno delle case. Mentre sui balconi ancora gocciolano i vasi che hanno appena finito di innaffiare, portano fuori sul marciapiede le loro sedie e si siedono in circolo. Vicino alle loro madri, le bambine fanno merenda senza smettere di giocare. Tigre, il gatto tigrato senza un padrone, passeggia tranquillamente tra le loro gambe, nel caso in cui gli cada qualcosa da mangiare. Poi, attraversando la strada con fare annoiato, si distende appoggiandosi a un muro qualsiasi e sbadiglia. A volte passa una macchina che rallenta la velocità. Si fa silenzio e la strada intera si ferma a osservare chi c’è dentro.
Con le sue manone, Zenón sposta la tenda della finestra di casa sua e osserva imbambolato le bambine. È incantato dal movimento dei loro capelli che va all’unisono con i salti, dalle loro gonne corte che si sollevano ad ogni salto e tornano poi ad appoggiarsi sulle cosce. È estasiato guardando la corda che gira nell’aria mentre le scarpe si alzano per non pestarla. Il ragazzo muove la testa seguendo il ritmo delle canzoni, facendo una smorfia simile a un sorriso. Qualche volta il gesto diventa una risata, un suono incontrollato che somiglia a un soffocamento.
Tra tutte le bambine, Gina è quella che gli sembra più bella.
La prima volta in cui la vide, lei aveva poco meno di un mese. Sua madre la teneva in braccio e tutte le vicine le facevano moine. Zenón era proprio vicino a loro. Suo padre aveva appena finito di fargli la barba e lui, come ogni volta, si era innervosito e si era messo a piangere. Ma si era tranquillizzato vedendo la bambina. Guarda quanto è bella questa bimba, le dicevano. Lui la vedeva così piccola, indifesa. Gli era venuto da ridere e aveva dondolato il corpaccione, soddisfatto.
Tocca a Gina far girare la corda. Nell’altra mano tiene l’ultimo pezzo di un biscotto. Se lo mangia in un boccone senza smettere di giocare.
Zenón ha buona memoria quando si tratta di ricordare certe cose. Soprattutto quello che riguarda Gina. Come quella volta in cui lei stava imparando a camminare e avevano lasciato che lui la prendesse per mano per un momento. Zenón si piegava verso la piccola e, con il braccio che rimaneva libero, la proteggeva da qualsiasi cosa contro cui potesse inciampare. Guardatelo, sentì che diceva qualcuno, così goffo di solito e invece ora… Le signore che, sedute in gruppo, osservavano la scena, sorridevano commosse. Dopo che Gina fu restituita a sua madre, Zenón si allontanò dal gruppo. Le osservava con la coda dell’occhio, gonfiando il petto.
Ma quello che ricorda con maggiore emozione è la prima volta che sentì Gina pronunciare il suo nome. Ha detto Zenón, ha detto Zenón, ha detto Zenón!, gridava eccitato, pestando i piedi per terra in maniera convulsa e indicando la bambina. Tigre, che dormicchiava sotto le sedie delle vicine, spaventato, corse via come un fulmine.
Zenón ride ricordando la scena. Le bambine cantano, corrono sotto la corda e saltano. Gina guarda verso l’alto. Lo vede alla finestra e lo saluta. A gesti gli dice di scendere.
Lui vorrebbe andare a giocare a calcio con i bambini, ma suo padre non lo può accompagnare perché il pomeriggio lavora e da solo non lo lascia andare. Fino a poco tempo fa, Zenón si intratteneva con le bambine. Tuttavia, da quando hanno iniziato a passare tanto tempo a saltare la corda, le cose sono diverse. Quando si avvicina a loro, interrompono il gioco improvvisamente. Dicono che lui non sa fare a saltarla. Che la pesta sempre. Zenón, arrabbiato, se ne va e le guarda dagli scalini dell’entrata di casa sua. Anche Gina si allontana e va a sedersi di fianco a lui. Allora lui entra in casa, e ricompare dopo qualche minuto con alcuni giocattoli da condividere con la sua amica. A volte le porta uno yoyo, o un puzzle, o delle biglie. Sembra un gigante vicino alla bambina. I genitori di Gina a volte discutono vedendoli così uniti. Non mi piace che la bambina passi tanto tempo con quel ragazzo, dice lei. Chissà… Il padre di Gina solleva lo sguardo dal giornale e, facendo schioccare la lingua, guarda sua moglie da sopra gli occhiali. Non cominciaaare, risponde con voce stanca, tornando alla lettura. Lei, però, dubita. Le viene in mente l’immagine della madre di Zenón. Dove sarà ora? si chiede. Da quando se n’era andata lasciando quel bigliettino, diversi anni fa ormai, nessuno nel paese l’aveva più vista. Un giorno o l’altro lascio tutto e me ne vado, diceva la madre di Zenón quando erano loro due sole. Lo diceva ridendo. La madre di Gina non avrebbe mai creduto che parlasse seriamente. Erano vicine di casa da tanto tempo, avrebbe giurato di conoscerla bene.
Zenón aveva dodici anni il giorno in cui sua madre se ne andò. Fu una domenica mattina. In primavera. Approfittò del fatto che il marito aveva portato il figlio a pescare girini allo stagno dell’orto di certi amici. Nessuno la vide uscire di casa. Qualcuno la incrociò qualche giorno dopo in un’altra città. Era con un uomo. Per diversi giorni Zenón l’aveva chiamata, urlando il suo nome. Lo faceva di notte. Suo padre tornava tardi dal lavoro. Appena girava l’angolo, alla fine della strada, iniziava già a sentire i suoi urli. All’interno delle loro case, le famiglie, scosse, cenavano. Attraverso le finestre chiuse, potevano sentire Zenón, impazzito, e suo padre che cercava di tranquillizzarlo.
Le bambine continuano con il loro gioco, ma cantano un’altra canzone. Zenón guarda l’orizzonte, il cielo è coperto di nuvole rosa. Dirige lo sguardo verso dove finiscono le case del paese e iniziano i campi gialli e ocra. Con l’indice e il pollice misura quella distanza. La voce di Gina che lo chiama fa si che si giri nuovamente verso la strada. Apre la finestra e si affaccia. Gina gli dice che ha un regalo per lui. È una sorpresa. Domani gliela darà. Zenón si ricorda improvvisamente. Nota una fitta allo stomaco e il sorriso gli rimane stampato in faccia per un bel po’, come una smorfia. Il suono gutturale di una risata sembra fuori tempo. Domani è il suo compleanno.
Oggi è un grande giorno per Zenón. A suo padre hanno dato un giorno di ferie al lavoro. Ha comprato una grande torta e i bambini e le bambine del quartiere/vicinato vengono invitati a mangiarla nel pomeriggio. Tutti hanno piatti e bicchieri di carta con stampate delle farfalle rosse e verdi. Zenón è emozionato. Nella confusione generale si sente la sua risata. Dopo aver soffiato sulle candeline, i bambini gli consegnano i loro regali. Gina gli si avvicina con una grande scatola tra le mani, il coperchio ha diversi buchi. Tutti li osservano. Zenón trema mentre la apre. Inquieto, vede che all’interno c’è una gabbia. La guarda con curiosità. In un angolo c’è un porcellino d’India bianco e beige con occhi neri brillanti. Zenón spalanca la bocca quando lo vede. Gina lo tira fuori dalla gabbia e glielo mette tra le mani. Zenón a malapena respira. Non si muove neanche. Lo sostiene facendo attenzione e senza azzardarsi ad accarezzarlo. La bambina gli mostra come prenderlo. È difficile far sì che Zenón lo rimetta nella sua gabbia, ma ci sono altri regali da aprire.
Sono passate alcune settimane e Zenón non si è separato dal suo animaletto. L’animale gli passeggia sulle spalle, mangia dalla sua mano, dorme nelle sue tasche. All’inizio i bambini si avvicinavano a Zenón ogni volta che usciva di casa, per vedere il suo porcellino d’India. Lui glielo mostrava tra risate stonate, ma ormai si sono abituati all’animale e quasi non gli fanno caso.
Sono sempre di più i pomeriggi che la strada resta vuota. Appena ci sono bambini che corrono di qua e di là. Ultimamente, anche le bambine vogliono giocare a calcio. Adesso vanno al campetto. I genitori le accompagnano. La strada sembra muta senza le loro canzoni. Quieta senza i loro salti. Si vede solo Zenón con il suo animaletto, seduto all’entrata di casa sua. È triste in questi giorni, e più arrabbiato che mai. Quasi non vede Gina e, quando questo succede, lei è sempre di fretta.
Oggi però è diverso. È piovuto tutta la mattinata e nel campetto da calcio non si può giocare. È tutto pieno di pozzanghere. I bambini escono dalle loro case con la merenda in mano. Alcuni s’infilano i pattini e si mettono ad andare da una parte all’altra della strada. Altri si scambiano figurine. Le bambine hanno con loro la corda da saltare. Il circolo delle vicine si è ingrandito. Il cielo è coperto e grigio. Le amiche di Gina la aspettano, ma siccome ci sta mettendo tanto, iniziano a giocare. Torna a sentirsi l’eco delle canzoni infantili. Dopo un po’, vedendo che Gina non arriva, le bambine decidono di andare a casa sua a cercarla. Le finestre sono aperte e dalla strada la chiamano, prima a voce bassa, poi più alta. Alla fine, suonano alla porta. Apre la madre di Gina. Ma non è con voi? chiede sorpresa. Le bambine si scambiano un’occhiata. Tutte cercano di ricordare se Gina ha detto loro dove andava, ma negano con la testa. La madre di Gina entra in casa, avvisa il marito e controlla nelle stanze. Per strada, il vicinato non sa nulla. Né i bambini che contano le figurine, né quelli che pattinano, né le signore che chiacchierano nel loro circolo… Nessuno l’ha vista. Improvvisamente, la madre di Gina drizza la schiena come se avesse ricevuto una frustata. E Zenón? Non sarà con Zenón? Tutti si guardano intorno, cercando il ragazzo, ma non lo vedono. Vanno fino a casa sua e notano che la porta che dà sulla strada è aperta. Lo chiamano dall’entrata e, non ricevendo risposta, il padre di Gina insieme ad altri uomini entrano in casa. La madre della bambina aspetta fuori. Le mani intrecciate tremano. I minuti sembrano ore aspettando che gli uomini tornino. Dentro non c’è nessuno. Dobbiamo chiamare la polizia, dice il padre di Gina, iniziando a comporre il numero nel telefono. C’è del sangue nella stanza di Zenón, dice un bambino che si è intrufolato in casa. La madre di Gina si porta le mani alla bocca, soffocando un grido. Il marito la tranquillizza. Non è niente, ce n’è poco poco. Forse Zenón si è graffiato con qualcosa, le dice. La polizia arriverà a momenti. Scende un silenzio teso. Non si può far altro che aspettare. La madre di Gina non vuole tornare a casa sua. Preferisce aspettare sul marciapiede. Inizia a piovigginare e nessuno sembra farci caso. Ormai aspettano da un po’ per strada. Le rondini volano basse, agitate. Ascoltate! dice qualcuno, non sentite qualcosa? Si fa silenzio. Da lontano arriva un rumore gutturale, ripetitivo. Sembra provenire da una viuzza vicina. Alcuni bambini corrono da quella parte. Zenón è qui! È qui!, gridano turbati, agitando le braccia. Tutto il gruppo si dirige di là. Zenón è acquattato dietro l’angolo. Ha tutta la camicia sporca di sangue, e le mani, e il viso. Però non si vede nessuna ferita. Tutti lo guardano. Zenón, cos’è successo? Da dove vieni? Hai visto mia figlia? chiede il padre di Gina. Zenón lo guarda con gli occhi spalancati. Trema vedendo tanta gente accalcata attorno a lui. Si torce le mani sporche e geme con disperazione, sempre più forte. Vuole parlare ma la sua non è una voce, è un suono strano che riempie la strada d’inquietudine. Quasi un rumore. Il padre del ragazzo va verso di lui, facendosi largo tra la gente. Qualcuno è andato a chiamarlo in fabbrica. Ragazzo, che cos’hai? Ma è impossibile ottenere qualcosa. La madre di Gina viene fatta sedere su una sedia.
Si sta facendo sera, il cielo diventa viola, le case sembrano più bianche. Tre gazze attraversano il cielo gracchiando.
Da lontano, s’intravedono due sagome che si dirigono verso il gruppo di gente. Si tengono per mano. Vedendo che alcuni bambini gli corrono incontro, si separano all’istante. Il grido ‘È Gina!’ risuona per tutto il quartiere. I genitori della bambina trattengono il respiro. Circondati dai vicini, vanno incontro alla figlia. La abbracciano piangendo. Gina li guarda intimidita.
All’altro lato della strada, il padre di Zenón si asciuga gli occhi dissimulando. Cerca di tranquillizzare il figlio, ma non riesce a capire cosa lo faccia angosciare tanto. Gina sente i lamenti del suo amico e si mette a correre, fino ad arrivare al suo fianco. Zenón la guarda in lacrime. Infila una mano in tasca e tira fuori il corpicino martoriato del suo porcellino d’India. Lo fa con estrema attenzione, come se avesse ancora paura di fargli del male. È stato Tigre, dice, mostrandoglielo.
Traduzione di Francesca Miola