«Ecco le pratiche richieste, Vladimir Vladimirovich.»
Con queste parole, o qualcosa del genere, avrebbe dovuto iniziare un capitolo in terza persona onnisciente su Putin. Putin invece è nella sua dacia, seduto per terra, anzi su un tappeto, e sta accarezzando dolcemente il muso di un labrador. Koni.
È una femmina, un esemplare pregevole, il collo è un tronco, i denti forti e sani, il pelo nero e lucido come gli stivali di Volodja ai tempi del KGB, lì in giro per Dresda, a ingrassare di birra. Ecco, in Germania non era stato facile, soprattutto per Lyudmila. Comunque. Volodja ora è circondato da otto minuscoli cuccioli, miopi, zoppicanti, nati per ridefinire qualsiasi concetto di tenerezza. È la mattina del 7 dicembre 2003, ed era tanto, tanto tempo che il Presidente non si sentiva così. È giorno di elezioni della Duma: le schede sono ancora negli scatoloni, vicino alle matite che regaleranno pro forma 223 seggi su 450 a Volodja, sub forma di un controllo assoluto del potere legislativo.
Fuori la neve fresca si appoggia a quella poco meno, eccetera, milioni miliardi infinite esplosioni mute, non fanno rumore e non fanno notizia, in Russia. Lyudmila lo raggiunge dalla cucina, si appoggia al divano e gli accarezza la testa, dei capelli biondi fini, sul brodo del cranio.
«Finalmente, Volodja.»
Suo marito si gira, un sorriso gli deforma il viso.
Quindi Koni è stata montata nei primi giorni di ottobre 2003
È importante ricordarlo. L’unico atto di sottomissione di quella cagna: il quadrupede, quello che l’ha riempita di grazia, è un tipo davvero fortunato. Sì perché Koni ha dimostrato negli anni un bel caratterino (più di un giornalista ha scritto che è l’unica a disobbedire di fronte a Volodja). Ha risposto sbadigliando alle cortesie del buon Lukashenko, ha ottenuto le dolci carezze di Blair, ha esplorato gli odori di Angela Merkel. Comunque. La gestazione di un labrador dura dai 60 ai 65 giorni circa: è un’informazione non pervenuta a Koni (li aveva fatti penare), quella Koni che tante volte aveva dato gioia a Volodja, non voleva decidersi.
Se n’era innamorato subito, nel 2000. Era dicembre, quando Sergej Shoigu entrò nella Storia: l’azione più rilevante del suo mandato fu il dono di un cucciolo di labrador. Volodja se n’era innamorato subito. Quando mangiava la pappa per esempio, puzzava meno di Lyudmila. Ok, questa è pesante, ma Lyudmila è il passato (e Koni, oltre a essere il presente, non gradisce la cipolla). Volodja l’aveva portata in giro per la dacia. Anche la prima volta nevicava, il paesaggio era bianco, bianco.
I primi insediamenti risalgono al periodo neolitico
Perché degli uomini scimmioidi abbiano deciso di stabilirsi in territori così freddi e inospitali, non ci è dato saperlo, di preciso (l’invenzione dello skilift risale ai primi anni del 1900 d.C.). C’è chi dice che spingendosi così a nord, ha iniziato a filtrare l’artificiale, l’anormale nella psicologia russa. La gente sgomita tra la Senna e il Danubio, dal Mar Nero al Baltico, e i più deboli si beccano latitudini da una stellina. Posti umidi, paludosi, mucosi. “E sia i paesaggi che i climi finiscono per creare la psiche di ciascuno”. Comunque. Quando il narratore onnisciente ha riportato quella citazione chiacchierando con suo fratello Francesco, che è lì sul serio, in Russia, Francesco ha risposto che anche in Islanda si faceva continuamente quella domanda, e la risposta degli islandesi consiste in una delle società più evolute dell’Olocene, e se mi chiedi perché i vichinghi ci sono andati, la risposta è che abbiamo sempre bisogno di puntare verso l’alto, o verso il basso, o destra sinistra, cos’è un uomo, un vettore, cos’è il mondo, l’asse cartesiano più insensato mai concepito e. Ok, qui era caduta la rete, il narratore onnisciente ha spento e riacceso il router, ma Skype non dava più segnali di vita.
Allora, dicevamo: neve, dicembre 2000/2003
Il paesaggio era bianco, bianco. E quell’uomo nato a Leningrado il 7 ottobre 1952 ora è la massima autorità della nazione finzione, un ologramma, l’espressione di un sistema ordinato, rigororoso, fatto di acciaio e di cristallo (“come se fosse stato sintetizzato in laboratorio”), e nella sua mente tesseva questi fili inseguendo la sua piccola, minuscola Koni, un puntino nero nella neve quando Volodja sotto alla lingua, aveva meno morti. Comunque. Perché pensare che Putin non abbia mai letto Limonov, Klebnikov? La Politkovskaja? Si dice che Hitler volle fortissimamente due copie de Il dittatore di Chaplin.
Ci pensava Volodja, inseguendo nuovi puntini neri nella neve, la stessa neve che si era sistemata infinite volte su infiniti posti e si sistemerà infinite volte in infiniti posti. Forse la stessa neve che si appiccicava al microfono di un giornalista, il 7 dicembre 2003.
«Signor Presidente, qualcosa da dichiarare?»
«Sono felice. Questa notte, Koni ha avuto i cuccioli.»