Immagina una cucina qualunque. I mobili di legno scuro. I libri con le ricette sullo scaffale. Le pentole di rame appese al muro. Nell’angolo più lontano, il caminetto spento. Il tavolo di noce al centro della stanza, fasciato da una tovaglia bianca.
Lo senti l’odore della carne che bolle in pentola?
Stai guardando i cesti di vimini alle pareti e giocherelli con il coltello che ho lasciato sul tavolo. Accanto a te c’è il frigo. Bianco, con due enormi maniglie argentate.
Impugna quella più in alto e spalanca il freezer. Tira fuori una birra, i bicchieri sono dietro di te. Dai qua, la stappo io con l’accendino. Il tappo schizza verso il soffitto. Ti riempio il bicchiere, poi riempio anche il mio. Bevi. Imperativo. Bella fresca eh? Non sono mica nato ieri. La pecora sta bollendo, insieme alle patate e alle cipolle intere. Ci vorranno delle ore prima che sia pronta.
E tu ti stai chiedendo cosa ci fai qui…
Lo vedo dai tuoi occhi inquieti, che saltano le righe, convinti di poter leggere il futuro tra le pagine di questo racconto.
Calmo. Non si può leggere il futuro, né sui fondi di caffè né su quelli delle bottiglie. Tanto meno tra le mie parole. Calmo.
Fumati una sigaretta, offre la casa. Fuma. Fuma tranquillo, non pensare al male che ti fa. Ci uccidiamo nei modi più strani.
Siamo io e te. Uno di fronte all’altro. Con un sacco di tempo davanti e un sacco di birra in fresco.
Hai acceso la sigaretta? Ridammi l’accendino però, fumo anch’io.
È bello essere dei fumatori, di questi tempi. Non trovi? È divertente essere il capro espiatorio del momento. È bello che lo Stato faccia finta di occuparsi della tua salute. Anche se nel frattempo si riempie le tasche monopolizzando i tuoi vizi e le tue debolezze.
È così che funziona il mondo, amico. Sono tutti alla ricerca delle tue più intime debolezze, dei tuoi segreti inconfessabili, delle tue paure. Pubblicitari, industria pornografica, discografici, pennivendoli pedinatori di celebrità. E poi politici, scrittori di best seller per adolescenti, trafficanti di nuove droghe, polizia privata. E sopra ogni cosa, la mano inanellata della Chiesa. Lo spirito, l’anima, la reincarnazione. La fede, i dogmi, il chakra, la carne di maiale e la contraccezione. Gli aborti e le vacche sacre. I preti. I templi. I salmi e i santi. Tutto tritato in un beverone per spegnere le tue paure.
Credi in Dio? Intendo in un Dio qualsiasi, quello che ti pare. Anche la Natura vale. Dolmen, totem, lotto, caso, oroscopo, totip, qualsiasi cosa.
No, non rispondere. Non mi interessa. Ci credi, non ci credi, a me semplicemente non interessa. Non mi interessano gli dei e i loro derivati. Li schivo. Come sputi sul marciapiede. Non mi chiedo chi abbia sputato. Ho pochi interessi, in effetti, e non sono per niente schizzinoso.
Prendi un’altra birra, per favore. E parla un po’ anche tu, se ti và. No, eh?
Queste sedie non sono proprio comodissime, lo so, lo vedo che ti agiti. Ma mi mettono sempre allegria. Sono quelle con il sedile e lo schienale di legno, e le gambe di metallo, sottili come zampe di ragno. Quelle sedie gialle, rosse o blu, che si trovano ogni tanto in qualche bar di periferia che vende bottiglie grandi di birra. Sono quasi uguali alle sedie di scuola, ma sono colorate, e mettono molta più allegria.
Vabbè. Di che parlavamo? Ah, sì, di debolezze. O di sigarette. Bah, fumiamocene una, a proposito. Ti giuro che da quando è iniziata questa campagna anti-fumo, me le fumo ancora più di gusto. Sono quasi sicuro che non morirò per questo.
Tu di che morte vorresti morire? Non mi rispondere scopando, per favore.
A me non interessa granché. Comunque mi piacerebbe morire in una gigantesca esplosione, tipo una cometa impazzita grande quanto la Spagna che ci precipita addosso. Ci ho pensato un sacco di volte, e sono giunto alla conclusione che, se proprio non c’è nessuna speranza, converrebbe aspettare sdraiati su un prato, con la faccia immersa nell’erba, e nuotare a rana.
Ma poi ho pensato che tra qualche anno non ci saranno più prati in cui sdraiarsi, e morire nuotando a rana nel parcheggio di un centro commerciale è una morte un po’ di merda. Quindi si torna alla scopata, all’ultima birra e allo sciacallaggio. Moriamo davvero nei modi più strani.
Vado a dare una girata alla pecora, tu prendi una birra intanto.
Quando la assaggerai, la pecora intendo, quando darai il primo morso alla carne, quando masticherai la prima cipolla, capirai che è valsa la pena di aspettare tre ore. Darai un senso al tempo, ringraziando la pecora per la sua nobile morte. La pecora espiatoria, immolata sugli altari della legge di natura.
È divertente anche essere carnivori, di questi tempi. Bisognerebbe godere di più dei vantaggi che la vita ci offre.
È molto edificante essere un perseguitato, ecco il perché di tanti martiri. L’autostima è una cosa importante.
Oggi, mangiare la carne è problematico, a volte sconveniente. I vegani passano per angeli asessuati, unici custodi del futuro della Terra. Certo, poi muoiono per carenza di proteine, o per overdose di pesticidi, ma fanno molto colpo ad una cena. Quel loro rifiutare con garbo, quasi stufi di spiegare che per quello spezzatino un povero animale indifeso è stato scannato, li eleva a sacerdoti di una moralità primitiva. E in questo i Mc Donald’s e i pollituttopetto gli danno una grossa mano.
Per quanto mi riguarda, sono di un’altra scuola. Il leone non si preoccupa dell’ecosistema quando sbrana la gazzella. Il leone è un carnivoro. L’uomo è un carnivoro. La donna quasi. “Non di solo pane vive l’uomo”.
Quanto alla pecora che bolle in pentola, sono terrorizzato dalla possibilità di un’invasione di pecore. Immagina: nessuno mangia più pecore, le pecore si riproducono, diventano sempre di più, si muovono in gregge, stupide, come pecore appunto. Invadono i paesi, prima i più piccoli, poi le città. Prenderanno le nostre donne. Mangeranno i nostri figli. Io, tra vedere e non vedere, mi mangio una pecora. E faccio il mio.
Non stare lì con le mani in mano, stappa una birra. Io do ancora una girata.
Non sei molto di compagnia tu. Di solito sono io quello che non parla, quello che guarda tutti male, ma oggi è uno di quei giorni in cui ho voglia di sfogarmi. Il problema è tuo, che mi stai a sentire.
Ho un amico che ha il dono di calamitarsi addosso tutti i personaggi più assurdi. Un ricettacolo di sbornie loquaci e di pazzia metropolitana. Ma anche io sono abbastanza ferrato in questo campo.
E tu continui a leggermi. Ci troviamo bene noi due. Per una volta io ti parlo e tu mi ascolti, non mi capita spesso.
Se la birra in freezer è finita fai il cambio con quella che c’è in frigo. La birra ti deve spaccare i denti quando la bevi.
La pecora è quasi fatta. Le cipolle si sciolgono nel brodo. Io mi sento proprio bene, e tu?
Cosa? Cos’è questa luce rossastra che illumina il tavolo? Non lo so, ma non credo sia l’insegna del bar di sotto.
Ti alzi e corri verso la finestra, spalanchi la bocca e mi guardi.
Eh sì. È la cometa di prima, ti ricordi? Grande come la Spagna.
Me l’ha detto ieri un ubriaco sul tram. Diceva di aver trovato un cannocchiale nella spazzatura, con il vetro solo un po’ scheggiato, quanto basta per buttarlo via e comprarne uno nuovo. L’economia gira inarrestabile.
Diceva di aver guardato il cielo e di aver visto una grossa palla rossa che diventava sempre più grande. Abbracciava tutti e li baciava sulle guance. Diceva di venire dal Sud, isole comprese. Quando è sceso, tutto il tram ha tirato un sospiro di sollievo e si è toccato le palle. Io no. Sono arrivato al capolinea ripensando alla sua visione.
Accendi la televisione, magari ci inquadrano.
Non credo ci sia più niente da fare, tra un’ora, un’ora e mezza al massimo ci pioverà in testa. Ci arriverà la Spagna sulla testa. Ma senza gli spagnoli, i tori e la sangria. Solo i Pirenei.
Siediti, che è meglio. Ora, più di ogni altra volta, puoi dire che non va bene niente. Te lo concedo.
Che facciamo, ci mangiamo la pecora o cerchiamo un prato?