Monte dei cappuccini

Al Monte dei Cappuccini, oggi, Torino ti accoglie avvolta nelle nuvole e nella nebbia, grigia, distesa di cemento, mattoni, coppi e ciminiere. Un po’ Parigi capitale, un po’ Manchester industriale. Il sole non si vede dietro la coltre bigia. Non si sa se è sera o mattina. L’orologio al polso, comunque, dice che son le cinque.

Alla porta del convento, come ogni giorno, si avvicendano pellegrini in cerca di una pagnotta. Suonano al campanello ed un sorridente omino apre loro, tirando fuori da un cassone bianco un sacchetto di plastica: un panino, molto pane e poco prosciutto, due mele, acqua, forse qualche altra dolce sorpresa.

Stessi istanti, al museo dirimpettaio arriva una gioiosa comitiva di giornalisti ed autorità. Schiamazzi e calca come studenti gitanti. Nel foyer un ampio buffet li aspetta: aranciate, torte, caffè, pasticcini e dio sa cos’altro.

I due cortei passano l’uno accanto all’altro. Flussi separati. Da una parte sorrisi da “inizio vacanze”, dall’altro volti da ritorno da Mirafiori dopo la pubblicazione delle liste di proscrizione. Mondi diversi, che scorrono l’uno sull’altro. Mondi che non comunicano, che non si voltano a guardarsi neppure alle spalle.

Torino si staglia sullo sfondo, avvolto nelle foschia settembrina. La Signora guarda. Non commenta.


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